mercoledì 31 agosto 2011


A mio …padre?

Claudicante cammini
vecchio e rugoso
appoggiato al bastone
come lo fosti sempre a mamma.
Le desti stipendio
regolare ogni mese,
ma mai un fiore,
un regalo,
una pur piccola attenzione.
Venivi a casa,
padrone e straniero.
Mai mi parlasti
più di un minuto
forse mai nemmeno per mezzo.
Partii da casa solo 18enne
e mai mi chiedesti
per dove,
perché,
per chi.
La mia memoria fruga,
nei cassetti più reconditi,
ma non ricorda una sola volta
in cui mi chiamasti per nome.
Chiuso una vita intera
nella tua silente indifferenza,
sotto il cappello che amavi
più della sposa, più dei figli.
T’ammiravano le mogli degli amici
per la tua chioma color del rame,
pei tuoi occhi color del cielo,
per la tua simpatia
fuori le mura domestiche…
ove pure brillavi…
si…
ma per la tua assenza.
Ora guardo nei tuoi occhi,
vecchi e stanchi, sofferenti
ed è terribile dover ammettere,
che ci leggo ancora,
tremenda,
la tua lontananza.
Emy.

sabato 27 agosto 2011

la vecchietta e la primavera


La vecchietta e la primavera.


La vecchietta si chiama Rosina.
Rosina era una ragazza molto seria e come si usava allora, modesta, riservata e schiva.
Era il 21 Marzo del 1958, e quel giorno, Rosina , compiva 25 anni.
Tornava come ogni giorno dal cotonificio, dove lavorava per 10 ore al giorno.
Era stanca, a festeggiare nemmeno ci pensava...perchè il suo pensiero era abitato da un amore grande, quanto impossibile. Le sue coetanee erano sposate da tempo, avevano già bambini, e durante il lavoro l'apostrofavano con allusioni e sottili provocazioni sulla sua "incapacità" a trovar marito e a "sistemarsi".
Ma lei, mentre l'assordante rumore del filatoio, scandiva i secondi, e le sue mani si tagliavano tirando il pettine di ferro e i fili da tagliare, ripensava agli occhi dell'amore suo, alla sua voce che non aveva mai sentita, a quegli sguardi furtivi che ogni giorno le riservava durante i dieci minuti della pausa pranzo, quasi un invito a sedersi vicina ma la regola diceva che ognuna pranzasse con la propria "squadra". Già, a quei tempi, lavorare in fabbrica era quasi come essere comprati dal datore di lavoro, si doveva sottostare ad un'infinità di regole che poco avevano a che fare con il lavoro. Era riuscita a sapere che si chiamava Linda...e come potesse essersi innamorata di lei, di una donna, ancora non riusciva a spiegarselo. Ma quando la intravvedeva all'apertura del cancello, o tra le maglie della macchina filatrice, o nei pochi minuti della pausa pranzo...il suo cuore prendeva a battere all'impazzata, dentro lo stomaco un vespaio e le mani iniziavano a tremarle. Quando poi, la osservava all'uscita della fabbrica, salire sulla sua bicicletta sgangherata e pedalare via dopo averle strizzato l'occhio, sentiva le gambe cedere, come se da un momento all'altro dovesse svenire. Rosina, ligia alle raccomandazioni materne, la domenica mattina si metteva in ghingheri ed andava a messa, che, come diceva la mamma, fuori di Messa i “giovinotti” osservavano le ragazze, e sceglievano la futura sposa. Lei però, schivava ogni sguardo, non rispondeva a nessun saluto e a testa bassa si avviava verso il cimitero. No, non era devota ai suoi morti, ma quella era la strada che Linda percorreva ogni giorno per tornare a casa...e la speranza di poterla vedere ogni domenica rimaneva delusa. Come dicevo, quel 21 Marzo al ritorno del cotonificio, Rosina sentì alle sue spalle, il cigolio inconfondibile delle pedalate di linda sul suo catorcio. Dapprima il cuore a mille poi quasi si fermò sentendosi chiamare:
"Rosina!". Si voltò e lo sguardo dolce di Linda le penetrò l'anima, le tolse quasi il respiro. Solo un "ciao" e il tempo di metterle un biglietto tra le mani, poi Linda girò la bici, e pedalò via sulla strada del cimitero. Rosina strinse tra le mani il biglietto, lo nascose in fondo alla tasca del grembiule e continuò a camminare verso casa, curva a testa bassa, quasi volesse sparire dal mondo, piena di vergogna per ciò che aveva provato davanti a quella ragazza, e la mano in tasca stringeva il biglietto nel terrore che contenesse qualcosa di tremendo e che qualcuno potesse prenderglielo e leggerlo. Arrivata a casa, in camera sua, lo trasse dalla tasca e lesse: "domenica alle 11 dietro il cimitero se ciò che ho visto nei tuoi occhi è vero. Se mi sono sbagliata, scusa." La settimana volò e ci fu il primo incontro dietro al cimitero, tra le fronde di due salici enormi. Li Rosina e Linda si conobbero, si amarono, e pure piansero insieme e sempre li, una domenica di maggio di due anni dopo, Linda chiese a Rosina di partire con lei per altri luoghi, per vivere insieme, per potersi amare.
Rosina le rispose con un sorriso": con la tua bici? Se mi vieni a prendere in macchina non faccio nemmeno le valigie e parto con te!" una macchina...figuriamoci se Linda poteva permettersi una macchina, a quei tempi. Ma...sorpresa delle sorprese, dopo circa un mese, un venerdì sera, Rosina sentì un suono di clacson fuori casa sua, si affacciò e vide Linda, giacca e pantaloni gessati, cappello bianco, appoggiata ad un bolide 600 con portiere controvento, gomito sulla portiera aperta, piede sul bordo inferiore dell'auto. Rosina arraffò quello che le riuscì, lo infilò in una grande borsa di tela a fiori e corse giù dalle scale col poco fiato che le restava. Sua madre confusa non riuscì a proferir parola e le due partirono sulla loro auto, incontro al futuro, non facile, ma tutto loro. Furono anni difficili ma pieni di amore. L'auto fu rottamata intorno all'anno '68. Linda se ne andò una decina di anni or sono ed ora i suoi incontri con Rosina avvengo dentro e non dietro un cimitero.
Vedere la stessa auto, con una ragazza che assomiglia a Linda, nel mese di Marzo, per Rosina è stata una emozione grande, ed ora si apposta, per ore ed ore, per vederla passare e fare un tuffo nei ricordi.